Terza domenica di Quaresima

A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Nel brano evangelico odierno Gesù fa riferimento a due fatti di cronaca recenti che avevano provocato molto scalpore: una sommossa contro i Romani domata nel sangue da Pilato e il crollo della torre di Siloe, dove diciotto persone erano rimaste uccise. Di fronte a tali episodi la mente umana ha bisogno di trovare o un motivo o un colpevole e spesso viene chiamato in causa Dio, un Dio punitivo ed esigente che condanna i cattivi e protegge i giusti. Questo escamotage della psiche ha in apparenza la funzione di tutelarci: se sono gli altri – e non io – a essere puniti, ciò significa che non ho niente da temere. In realtà, però, tale modo di pensare è solo in apparenza rassicurante, poiché attribuisce a Dio un atteggiamento severo e inflessibile, facendo di lui qualcuno che di fronte a eventuali errori e peccati potrebbe reagire nella stessa maniera anche nei nostri confronti. Gesù, inoltre, smaschera un’ulteriore lacuna nei ragionamenti dei suoi uditori: con tono lapidario egli fa comprendere loro quanto sia illusorio attribuire agli altri colpe e mancanze, ponendosi automaticamente dalla parte dei giusti. Tutti, infatti, siamo peccatori e abbiamo bisogno di convertirci, come ci ricorda questo tempo quaresimale; tutti siamo responsabili ogni volta in cui dobbiamo scegliere tra la vita della comunione con Dio e la morte del peccato. Il brano continua con una breve parabola dai toni rasserenanti dove si parla di un fico sterile, chiaro riferimento al popolo di Israele, come si legge anche nel profeta Geremia (Ger 8,13). Di fronte a questo albero di cui vengono evidenziate due caratteristiche – il fatto che sia improduttivo nonostante sfrutti il terreno – un padrone ragionevole e nello stesso tempo rigoroso non può che proporre una soluzione: “taglialo”; ritenere, però, che questo sia l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo, come pensavano gli ascoltatori di Gesù, è ingiusto e riduttivo. Dio è il Dio della vita e proprio per tale motivo non può non offrire un’altra possibilità all’albero infruttuoso; è a tal fine, infatti, che egli ha inviato il Figlio affinché, proprio come il vignaiolo che zappa e concima, agisse in funzione della nostra rinascita. La parabola, tuttavia, si presta a ulteriori interpretazioni: nelle righe precedenti Gesù aveva insistito sulla necessità di convertirsi onde evitare quella morte interiore che è così ben simboleggiata dalla sterilità della pianta. Si tratta, dunque, di farsi vignaioli di sé stessi per uscire dall’autoreferenzialità, da quell’egocentrismo che ci rende simili al fico, il quale sfrutta la terra pur rimanendo infecondo. L’invito che ci è stato proposto all’inizio della quaresima, invito alla carità verso il prossimo, all’elemosina e al digiuno, offre gli strumenti privilegiati per zappare e concimare il nostro terreno al fine di produrre nuovi frutti. Nello stesso tempo, proprio perché al momento della creazione Dio ci ha fatti a sua immagine, rendendoci capaci di essere generativi come lui (cf Gen 2,15), e in Cristo ci ha resi fratelli, non possiamo non fare nostro il compito di lavorare il terreno degli altri affinché tutti, secondo il desiderio di Gesù, possiamo portare molto frutto (cf Gv 15,8).