Tornare alle origini della fede

Mons. Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli e delegato Cep per la Pastorale sociale e il lavoro
 
 
Mons. Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli e delegato Cep per la Pastorale sociale e il lavoro

Il messaggio dell’Arcivescovo al ritorno dalla Terra Santa

Sono stato nella terra di Gesù con alcuni sacerdoti del nostro presbiterio per ritornare alle origini del nostro essere preti, del nostro essere cristiani, guardando a colui che su quella Terra Santa ha fatto risplendere il volto nuovo dell’umanità. Guardate a lui e sarete luminosi, come recita il salmo 34.

Abbiamo immaginato i piedi di Gesù su quelle strade polverose che camminava insieme agli apostoli. Abbiamo bisogno di imparare a camminare insieme, come ci invita Papa Francesco nel cammino sinodale. Abbiamo bisogno di imparare a stare al fianco dei nostri fratelli.

Abbiamo immaginato lo sguardo di Gesù che contemplando la natura circostante pronunciava quella bella preghiera che il Vangelo ci riporta «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Non lo sguardo ipocrita di chi cerca solo il proprio interesse a scapito degli altri, ma lo sguardo attento di Gesù che individua, nascosto su un albero di sicomoro a Gerico, Zaccheo, un pubblico peccatore, che aveva bisogno di conversione. Lo sguardo misericordioso di Gesù che nota alla piscina probatica di Gerusalemme quel paralitico che giaceva da quasi quarant’anni senza che nessuno lo aiutasse a tuffarsi quando le acque si agitavano.

Abbiamo bisogno di ripartire da quello sguardo che scorge i sofferenti, predilige i poveri, raggiunge chi è solo.

Abbiamo immaginato le mani di Gesù che si alzavano mai per colpire e uccidere, ma per benedire per sorreggere, accarezzare e consolare; mani da artigiano che hanno lavorato per il bene della società nel rispetto della bellezza del creato.

Ci siamo resi conto che dovevamo ripartire dal cuore di Gesù che ci ha manifestato tutto l’amore di Dio per noi. Non si poteva dire al tempo di Gesù: dov’è Dio? Perché certo era visibile in quell’uomo traboccante di amore straordinario per gli altri, proprio come attestò un soldato romano che vedendolo morire in quel modo disse: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio».

Ci siamo resi conto che oggi quel Gesù ha bisogno del nostro cuore perché lui possa rifugiarsi in noi per continuare la sua opera di salvezza per continuare coi nostri piedi a camminare insieme ai fratelli, con i nostri occhi a rivolgere lo sguardo di misericordia e di attenzione ai più fragili e ai più deboli, ha bisogno delle nostre mani per continuare a benedire, soccorrere e aiutare, ha bisogno del nostro cuore per continuare ad abitare sulla terra con il suo Spirito perché nessuno possa più dire: dov’è Dio? Perché se non si vede più oggi Dio nel mondo, dovremmo chiederci: ma dove sono i cristiani che dovrebbero portarlo e renderlo presente?