Undici comandamenti?
Perché undici comandamenti? Non ne bastano dieci? Ci arriviamo poco per volta. Mi è venuta in mente una dilatazione del terzo che recita “ricordati di santificare le feste”(Esodo 20,8-11; Deuteronomio 20,12-15). Vi colgo un guizzo di umorismo: pare infatti che il destinatario di questa ingiunzione sia la memoria. Un comandamento di tonalità psicologica, quindi, al pari degli ultimi due che raccomandano di calmierare il desiderio, rispettivamente verso il coniuge altrui e imprecisate altrui carabattole.
Ma ci si può “dimenticare” la santificazione della festa? Occorre un’altra dimenticanza a monte: ossia che il tal giorno sia festivo. Solo l’alzheimer può fare questi scherzi. Ma se la mente funziona, conosco il corrente giorno della settimana, quindi non mi sfugge la domenica. E se sono cristiano, so di dover andare a Messa, che viene mandata in onda originariamente con una formulazione da comandamento “fate questo in memoria di me”(Luca 22,19; 1 Corinti 11,24.25). La formulazione sintattica imperativa la allinea ai comandamenti classici. Unica differenza è il plurale “fate”, non ricorrente nel decalogo. C’è da stupirsi che esista un comandamento coinvolgente la comunità? A me non sembra. Se i comandamenti sono legge, la legge non è mai imposta a una persona singola ma a una collettività.
Quindi, se quanto detto fin qui corre, il terzo comandamento si dilata abbandonando il generico per impostarsi sullo specifico. Il terzo è quindi il più cristiano fra tutti i comandamenti: gli altri vanno bene per tutti gli umani, essendo ingiunzioni di innegabile buon senso, condiviso da ogni benpensante. Il terzo invece è specifico dei cristiani, i quali si smentiscono in quanto tali quando allegramente se ne infischiano.
Sappiamo benissimo in quale circostanza Gesù ha scoccato il “fate questo in memoria di me”: appena istituita l’Eucaristia. Gesù vuole essere ricordato, e per giunta nel modo che vuole lui. Più perentorio di così non poteva essere! E’ pur vero che la memoria in questo caso ha varie modalità di funzionamento: posso ricordarmi di Gesù anche solo mentalmente, oppure accendendo una candela alla statua del Sacro Cuore, oppure dicendo il Rosario o facendo la Via Crucis, e via dicendo. Ma si tratta di memorie deboli, prive di autenticazione ufficiale. Mi posso ricordare di lui leggendo una pagina del Vangelo, e la qualità della memoria sale di livello perché la parola del Signore è quella che ci veicola il “fate questo in memoria di me”. Se il Vangelo non ci fosse pervenuto, sarebbe svanita l’efficienza eucaristica della memoria.
Nel periodo più funesto della perdurante pandemia covid-19, quando le Messe erano sospese, chi si sentiva forzatamente privo dell’Eucaristia poteva trovare efficace supplenza tuffandosi nella parola di Dio. Ma forse la parola “supplenza” non va bene, perché denota inferiorità del supplente rispetto al supplito. Non sono così sicuro che una lettura biblica intrapresa con limpido spirito di fede possa valere molto meno della comunione. Il guaio è che per noi cattolici la Bibbia, ancorché riconosciuta teoricamente come Parola di Dio, rimane un libro chiuso e da non aprirsi, perché le anteponiamo Padre Pio e affini.
“Fate questo in memoria di me” non vuole dire soltanto porre in essere l’Eucaristia, atto che compete esclusivamente al sacerdote, ma anche nutrirsene, il che è prerogativa del sacerdote e dei fedeli. E ora veniamo a noi.
Certe chiese si riempiono per la Messa. Ma i fedeli che ottemperano al “fate questo in memoria di me” nel limite delle loro prerogative, ossia ricevendo la comunione, sono pochi o relativamente pochi. Alcuni non perdono mai la Messa ma perdono sempre la comunione, perché non la fanno mai. Non riesco a capire perché questa astinenza eucaristica, allora avanzo un’ipotesi.
Non si reputano degni? Può darsi, Ma deve astenersi soltanto chi è inguaiato nelpeccato mortale certo: in caso di dubbio la comunione si può ricevere. Gesù non ha istituito l’Eucaristia come premio ai buoni: in tal caso avrebbe dovuto tenersela per sé. Ma come “ricostituente spirituale” per chi non è buono e virtuoso come dovrebbe essere. Il modo alimentare di riceverla trasmette questa immagine di terapia spirituale.
Fra i sacramenti esistono parentele e viaggiano nella stessa direzione. Il Vangelo di Giovanni mette infatti in parallelo il Battesimo e l’Eucaristia. Mi spiego. Nicodemo, membro del sinedrio ma buon orecchiante dell’insegnamento di Gesù, per non dar troppo nell’occhio va a suonargli il campanello di notte. E Gesù, invece di spedirlo, gli dà udienza e parte una conversazione notturna. Fra le varie cose Gesù gli dice: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5). Ossia: senza il Battesimo, sapendo che esiste, forzare il paradiso diventa un’impresa ardua.
Più avanti quando Gesù squaderna il suo statuto eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, frastornando non poco l’uditorio per l’arditezza delle sue dichiarazioni, afferma: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,53-54). In altre parole: se optate per la costante, ostinata astinenza eucaristica, vi auto-sbarrate la porta del paradiso. Tanto per il Battesimo quanto per l’Eucaristia vale la stessa formulazione sintattica: se scartate il Battesimo e snobbate la Comunione eucaristica, vi auto-tagliate fuori dal regno di Dio/vita eterna, ossia dal paradiso. Ecco perché della comunione non si può fare a meno e se sussistono le condizioni minime – grazia di Dio – bisogna riceverla.
Ma ora torniamo al numero dei comandamenti, per ricompattarli in dieci, elegante cifra tonda. Basta unificare i due comandamenti del desiderio – nono e decimo – come del resto avviene nella Bibbia, che li differenzia soltanto per sfumature (cfr Esodo 20,17; Deuteronomio 5,21). A parer mio è più importante sdoppiare il terzo in questo modo: 3/a “ricordati di santificare le feste”, che va bene per ogni religione che privilegi un giorno settimanale; 3/b “fa’ questo in memoria di me” che va bene per la religione cristiana. Non sarebbe la prima manipolazione dei comandamenti. Infatti il sesto, che nella Bibbia suona “non commettere adulterio” (Esodo 20,14; Deuteronomio 5,18), ossia non fare le corna, è dilatato in gergo catechistico nella formula “non commettere atti impuri”, con un ventaglio vietante ben più ampio, esteso a ogni esercizio di sessualità fuori dal matrimonio, secondo le odierne giravolte sentimentali. Inoltre i primi tre comandamenti, strizzati all’essenziale nel catechismo per agevolare la memoria, nella Bibbia sono verbalizzati in forma ben più obesa, il primo e il terzo in particolare, con dettagliato elenco di possibili loro violazioni.