V domenica del Tempo ordinario
Mentre, circondato dalla folla che gli fa ressa intorno, Gesù insegna e proclama la Parola di Dio, la sua attenzione è attirata anche da altro: non molto distante da lui alcuni pescatori, invece di unirsi a quella moltitudine di gente per ascoltare la sua predicazione, sono occupati a lavare le reti dopo una notte di fatica in cui non hanno preso nulla. Che cosa ha fatto sì che egli li vedesse con quella profondità di sguardo che unisce l’attenzione amorosa verso l’altro alla capacità di intuirne il mistero? Forse la laboriosità, la solidarietà nel collaborare, la serietà nell’impegno o anche l’insuccesso, la percezione di una mancanza che spesso rende le persone più docili e predisposte a farsi aiutare? Al “vedere” di Gesù seguono sempre parole e fatti: prima egli sale sulla barca di Simone e poi lo invita a prendere il largo e gettare le reti. La risposta che riceve dimostra come egli avesse non solo “visto”, ma “visto giusto”. Nelle parole di colui che sarà chiamato a diventare il primo degli apostoli possiamo, infatti, rinvenire l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare il modo in cui il cristiano di ogni tempo si pone davanti a Dio: nella risposta di Pietro, infatti, sono contemporaneamente presenti la percezione della propria mancanza, della finitezza, dell’impossibilità per l’uomo di cambiare il corso degli eventi e, nello stesso tempo, la radicale fiducia nel potere della Parola. Ed è proprio in nome di questa Parola potente, e non delle nostre capacità, delle ricchezze, del fascino, della forza, che noi possiamo “prendere il largo” nella vita, senza rinchiuderla dentro i confini angusti delle nostre sicurezze e pensandola invece come un’eterna avventura destinata a non finire mai, aperta alla novità, all’inatteso, dove anche la sofferenza e la fatica possono trovare un senso. Così avvenne per questi pescatori che, tornando malinconicamente a riva, mai avrebbero immaginato come sarebbe cambiata la loro vita dopo che quel Maestro aveva fermato lo sguardo su di loro. Inizia così, con un gesto di fiducia, l’avventura della sequela di Pietro e dei suoi compagni e subito dopo prosegue con un altro atteggiamento fondamentale per ogni vera esperienza di fede. Lo stupore di Simone, che dopo una pesca così inaspettata e sovrabbondante si getta alle ginocchia di Gesù chiedendogli di allontanarsi da lui a causa della sua natura di peccatore, esprime infatti il sentimento che dovrebbe abitare ogni credente di fronte all’infinita trascendenza di Dio. È lo stesso sentimento che abita il profeta Isaia il quale, come leggiamo nella prima lettura di questa domenica, di fronte alla teofania divina esclama: “Io sono perduto perché un uomo dalle labbra impure io sono”. In entrambi i testi l’uomo, reso consapevole della sua incompiutezza e del suo peccato di fronte all’infinita grandezza di Dio, non è però lasciato in balia di sé stesso. Ed è sempre Dio ad accorciare la distanza: è Lui che manda il serafino a purificare il profeta per inviarlo a suo nome e, nella persona del Figlio, rassicura Pietro e i suoi compagni per abilitarli a una nuova missione. Essi, allora, lasciano “tutto” e lo seguono: il primo gesto di fiducia ha dato origine a una nuova fiducia ed è proprio grazie a questo atteggiamento totalizzante che le loro vite ora possono prendere il largo.