Vangelo XXIII Domenica del Tempo Ordinario Mt. 18,15-20
A cura delle Clarisse di Santa Chiara in Roasio Santa Maria
“Correzione fraterna e preghiera”
XXIII domenica tempo ordinario
Mt 18, 15-20
Il brano evangelico di questa domenica appartiene al “discorso ecclesiale” di Gesù (o discorso sulla fraternità), nel quale correzione fraterna e preghiera concorde sono le “prime pietre” della comunità cristiana antica.
Nonostante l’impronta giuridica, non esistono norme disciplinari coercitive ma la gradualità nell’assumersi la corresponsabilità del cammino della vita cristiana.
La correzione non è una reazione all’offesa subita, ma è mossa dall’amore per il fratello. Correggere non è allora un atteggiamento gretto, meschino, pedante, rigido, bigotto, che diventa facilmente ipocrita e disumano; al contrario, è un gesto maturato nell’esercizio quotidiano di intelligenza, prudenza, delicatezza e tolleranza, che si trasformano in vigilanza affettuosa, scaturita dalla fiducia reciproca e dalla conoscenza profonda delle persone che ci stanno vicine; conoscenza anche delle loro fragilità, che può indurle nella tentazione di lasciarsi sedurre, oggi più che mai, dai numerosi idoli che la cultura propone.
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Dio ha affidato l’uomo alle cure dell’uomo, che è fratello, e anche a noi Egli può ripetere l’antica domanda rivolta a Caino: «Che ne è di tuo fratello?», alla quale non ci è consentito rispondere: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4, 9).
La correzione fraterna può diventare davvero una parola amica che nasce dal cuore, che si fa eco della Parola di Dio, per indicare al fratello la via sicura della salvezza, proteggendolo da false chimere… Tuttavia può accadere, per motivazioni diverse, che il richiamo al fratello in errore non trovi ascolto e accoglienza. Diventa quindi ancora più delicato il compito che implica una serie di interventi graduali. È un procedimento che Gesù stesso suggerisce, secondo un’articolata diversificazione di casi. Nel caso in cui, comunque, un peccatore non si fosse ravveduto, nessun elemento del testo di Matteo giustificava la segregazione del peccatore stesso dalla comunità con la scomunica. Si trattava infatti di una procedura disciplinare per rendere consapevoli i fratelli della loro situazione, nell’intento di portarli a un ritorno sincero a Dio.
Sarà la preghiera concorde ad assicurare la vicinanza di Dio alle decisioni prese nella Chiesa ed essa avrà una particolare efficacia per ottenere la conversione del fratello che ha peccato e la sua riammissione nella comunità, per sperimentare l’abbraccio del Padre e il dono della comunione fraterna, nel nome di Gesù.
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Papa Francesco ci ricorda con determinazione nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: «Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero» (n. 8).
E nel messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della pace dell’1 gennaio 2014, afferma: «La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità… Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune» (cfr. Ef 4, 7.25; 1Cor 12, 7).