VI domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

“Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento”: così recita il brano del Levitico, prima lettura di questa domenica, dove troviamo le prescrizioni riguardanti la lebbra a cui gli israeliti dovevano attenersi. Nel racconto evangelico, tuttavia, viene presentato qualcosa di completamente diverso: “Venne da lui un lebbroso”; quel “venne” esprime un movimento del tutto opposto, non uno stare “fuori”, ma un farsi vicino, un superare i limiti, le chiusure della Legge perché guidati da qualcosa di più importante, per certi aspetti di più viscerale: il desiderio di essere guarito. Qui, però, non ci troviamo solo di fronte alla malattia; il taumaturgo Gesù non è invitato a ripetere il gesto che aveva compiuto a casa di Pietro quando ne aveva guarito la suocera. La lebbra, infatti, è infermità contagiosa e, di conseguenza, non basta risanare ma bisogna anche purificare per permettere a quest’uomo di ricollocarsi “nell’accampamento”, vale a dire nella vita sociale, nel rapporto con gli altri uomini. In risposta al gesto coraggioso e azzardato del lebbroso Gesù tende la mano e lo tocca. Toccare un malato di lebbra non è un atto banale perché esprime non solo la disponibilità a cercare il bene e la guarigione dell’altro, ma rivela soprattutto l’assenza di una paura legittima: la paura del contagio. Il lettore che sta iniziando a conoscere Gesù può così venire più profondamente in contatto con il mistero della sua persona e scoprirne aspetti sempre più significativi. Il gesto del toccare, infatti, rimanda al mistero dell’incarnazione, lo approfondisce e lo concretizza. Esso testimonia la verità del Figlio di Dio, che non è semplicemente venuto ad abitare il mondo degli uomini, ma ne ha anche assunto la debolezza, la vulnerabilità, l’impurità. Nella festa del battesimo di Gesù, a conclusione delle celebrazioni natalizie, avevamo visto il Cristo che si faceva battezzare da Giovanni; egli non aveva bisogno di essere purificato, ma con quel gesto affermava la decisione di assumere su di sé il peso delle nostre colpe e del nostro peccato. Il tocco con cui Gesù si accosta al lebbroso e le parole che confermano l’intenzione della sua volontà prolungano e concretizzano l’offerta di salvezza fatta all’uomo attraverso il dono di sé e la partecipazione piena alla nostra vita da parte del Figlio. È questo il senso più profondo di quel “toccare” che elimina ogni distanza tra Gesù e il lebbroso e nello stesso tempo manifesta la sua totale assenza di paura, perché l’impurità non ha alcun potere su di lui. Al contrario, a chi si affida a lui con atteggiamento fiducioso e confidente egli offre la guarigione, una guarigione ben più profonda del semplice riacquisto della salute. Si tratta, infatti, di essere purificati, liberati dal male e, di conseguenza, reintrodotti nel mondo degli uomini ritornando così pienamente umani, poiché non è nell’isolamento ma nella relazione a contatto con gli altri che possiamo diventare davvero noi stessi. A una vicinanza così stretta, che implica il superamento delle norme stabilite dalla legge ma anche di ogni timore di contagio, segue una presa di distanza: ora è Gesù che sta “fuori”, in luoghi deserti, per non farsi contagiare a sua volta dalla ricerca della sua persona da parte di chi vede in lui un guaritore e non colui che dona la salvezza.