VII domenica del Tempo ordinario
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A cura della Fraternità della Trasfigurazione
“E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste”. In questo modo termina la seconda lettura di oggi che forse suscita in noi qualche interrogativo. Chi è l’uomo celeste? È la persona che passa il tempo a pregare e si estranea dalle vicende del mondo? La risposta più netta è precisa si trova nel Vangelo di oggi, dove Gesù espone non solo il suo pensiero ma anche le sue inclinazioni rispetto ai rapporti interpersonali, soprattutto là dove essi sono profondamente feriti. Nelle sue parole rintracciamo il culmine a cui può giungere l’amore umano, un culmine che per il cristiano non è un optional, un aspetto accessorio, ma un’esigenza inderogabile per tutti coloro che vogliono seguire il Signore. In questo brano di Luca Gesù mette in questione un atteggiamento tipicamente umano: il do ut des di coloro che sono incapaci di amare gratuitamente, ma si limitano a ricambiare il bene che hanno ricevuto o che prevedono di ottenere. Si tratta di un amore “di terra”, egoista, perché troppo condizionato dal proprio interesse, dalla certezza di essere ricambiati, supposto che si possa parlare di ricambio e non di utilitarismo. L’amore cristiano, al contrario, esige sempre un salto in trascendenza, lo sporgersi su una zona di incertezza dove la risposta dell’altro non è sicura o addirittura, nel caso del perdono, è stata aggressiva, ostile. Ciò non significa, però, che il Vangelo ci invita a non affrontare il conflitto, a camuffare la debolezza vendendola come bontà. Gesù è sempre stato fermo, chiaro, il suo linguaggio non lasciava spazio all’ambivalenza. Quando uno dei suoi presenti al suo processo davanti al sommo sacerdote lo schiaffeggiò (Gv 18,25), Gesù non gli pose l’altra guancia come suggerisce in questo brano, ma gli fece una domanda che metteva in risalto le contraddizioni di quel comportamento. Non si tratta di incoerenza da parte sua, ma di capacità di discernimento; i criteri che egli propone appartengono all’uomo celeste, non appartengono a questa terra che considera normali la risposta vendicativa, la pretesa ricompensa. Sono tutti atteggiamenti che legittimano il nostro Io nella rivendicazione dei suoi diritti. Gesù, invece, invita a dimenticarsi, a mettersi da parte, a trascendersi, ma non in nome di una gentilezza che ci vuole tutti amici, ma per imparare che cosa voglia dire davvero amare, per diventare figli di un Dio che nei nostri confronti vive il perdono, la misericordia, la benevolenza e il dono senza misura, come ci ha dimostrato attraverso la sua incarnazione, la morte in croce e il perdono offerto a noi, che siamo stati la causa della sua morte. Egli è l’uomo celeste per eccellenza, non perché proviene dal cielo ma prima di tutto in quanto figlio che ha pienamente incarnato l’amore del Padre e ci ha insegnato a percorrere la sua stessa strada. Accogliamo allora l’augurio di un grande santo dell’Oriente cristiano quando dice: “Che la misericordia prevalga sempre sulla tua bilancia, fino al momento in cui sentirai dentro di te la misericordia che Dio prova nei confronti del mondo”.