XII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Uno dei protagonisti delle letture di oggi è il mare, questa potenza tenebrosa che, come scrive il libro di Giobbe – primo brano di questa domenica – “esce impetuosa dal seno materno”, simbolo delle forze oscure che l’uomo da solo non riesce a dominare. Solo Dio è in grado di contenerlo, proprio come fa un buon padre che usa la forza non per schiacciare e prevaricare sulla sua creatura ma per impedire il prevalere delle forze cupe e caotiche che la abitano. Questo stesso tema ritorna nel Vangelo: Gesù è sulla barca con i suoi discepoli quando “ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena”. Se non sapessimo come prosegue la narrazione e fosse nostro compito immaginare il seguito, potremmo raffigurarci ogni tipo di reazione da parte di Gesù, ma difficilmente indovineremmo quanto avviene realmente: egli sta a poppa, sul cuscino, e dorme. Come interpretare questo atteggiamento così anomalo, questa calma irenica in un contesto di pericolo e di terrore? La risposta dei discepoli a tale interrogativo riflette il tipico modo di pensare di ogni essere umano quando non percepisce da parte dell’altro, e soprattutto di Dio, l’aiuto che si attenderebbe. Nasce in primo luogo il sospetto, quella sfiducia inoculata dal serpente, proprio come avviene per il veleno, nel cuore di Eva e che da sempre è all’origine di ogni nostro male. Subito dopo ecco l’accusa, la colpevolizzazione: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?”. Una domanda che non può non aver ferito il cuore di Gesù anche se, come vedremo, la sua risposta ha il sapore di quella signorile regalità che non conosce risentimento e vendetta. Mentre la tempesta infuria e i discepoli si affannano e rimproverano, il maestro dorme. Per noi, che non siamo coinvolti nella vicenda e possiamo osservarla dall’esterno e a mente fredda, il sonno di Gesù ha un significato ben diverso da quello che i suoi gli hanno attribuito: non si tratta, infatti, di disinteresse bensì di abbandono e fiducia totale nel potere che il Padre esercita sulle forze della natura, ma soprattutto della cura che egli ha nei confronti dei suoi figli. Il suo sonno ricorda l’atteggiamento del bambino di cui parla il Salmo 131 quando scrive: “io… resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia”. Il comportamento di Gesù, tuttavia, non stupisce solo per la pace interiore da lui dimostrata in un contesto così angosciante. Egli sorprende anche per l’estrema bontà nei confronti dei suoi. Avrebbe avuto il diritto di rimproverarli per l’atteggiamento ingiusto verso di lui, per non essersi limitati a chiedergli aiuto ma averlo invece accusato di mancanza di interesse e di cura nei loro confronti. Gesù, diversamente da quanto avremmo potuto attenderci, sposta lo sguardo dalla sua persona al Padre, nel quale è necessario avere fede. Egli non si preoccupa dei suoi sentimenti feriti, ma ciò che gli sta veramente a cuore è la nostra disponibilità, il nostro impegno nel fidarci, anche nelle tempeste e nei travagli dell’esistenza, di Colui che ci ha donato la vita è, di conseguenza, la protegge e se ne prende cura.