XII domenica tempo ordinario Mt 10, 26-33
– La Parola è per un’umanità audace –
a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –
Siamo nel secondo dei cinque discorsi di Gesù che scandiscono il vangelo di Matteo. È il cosiddetto discorso missionario: Gesù sguinzaglia i discepoli per un primo giro di tirocinio e allenamento, prima di proiettarli sulla grande missione planetaria (cfr Mt 28,18-20). Li attrezza dei necessari poteri e dà loro alcune dritte comportamentali. Parla schiettamente, senza nulla tenere nascosto, elencando con puntiglio i rischi cui saranno esposti, ma alla fine somministra loro le opportune flebo di coraggio. E siamo al taglio evangelico di questa domenica, scandito da tre «non abbiate paura». Innanzitutto non dovranno avere paura degli uomini. Il sottinteso è eloquentissimo: gli uomini possono fare paura. Lo può dire Gesù che bene conosce ciò che alligna nel cuore umano (cfr Gv 2,24): le infinite malefatte, anche le più clandestine, non possono rimanere celate, «poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto». Allusione più o meno velata a una terminale resa dei conti!
I maldestri rimpiattini umani toccati da Gesù, gli danno occasione di spostare il rapporto privato/pubblico su un altro asse. Egli parla a un piccolo gregge (cfr Lc 12,32) onde non ha bisogno di megafono. Gli apostoli, invece, dovranno far risuonare l’annuncio evangelico con voce da scorticarsi la laringe, quindi «quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo alla luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze». Insomma il Vangelo è troppo importante, troppo decisivo, troppo a portata planetaria per rimanere nel ripostiglio delle scope!
Eccoci al secondo «non abbiate paura». Di chi? «Di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima». Gli assassini e i violenti non sono i peggiori manigoldi. Al massimo possono colpire a morte il corpo. A parere dello scrivente basta già, ma per Gesù c’è di peggio, infatti: «Abbiate paura piuttosto di chi ha il potere di far perire nella Geenna l’anima e il corpo». La Geenna era una vallecola squallida e arida nella larga periferia di Gerusalemme, usata un po’ come inceneritore comunale. Dunque quanto mai adatta per evocare l’inferno, altrove menzionato come località poco refrigerante (cfr Mt 25,41). Tutto questo ci dice che esiste qualcosa di peggio della morte ed esiste un losco personaggio – il diavolo, per intenderci – quanto mai soddisfatto se riesce a trascinarci in tale condizione infernale.
Poi Gesù cambia disco, sollevandoci su rasserenanti pensieri di fiducia nella Provvidenza, talmente generosa da prendersi cura anche dei passeri. Dunque si prende cura anche di noi e della nostra più o meno folta capigliatura: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri!». Ancora un’insistita esortazione al coraggio, questa volta non come premessa ma come provvisoria conclusione.
Il vangelo non è per fragili mammole ma per un’umanità audace, pronta ad accettare il martirio se richiesto dalle circostanze: «Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». La traduzione Cei e altre mantengono il doppio anacoluto, tipico delle lingue semitiche. Il martirio è la testimonianza suprema, per fortuna non richiesta dalle nostre parti. Ma non esiste solo la testimonianza a prezzo di sangue. Esiste anche la testimonianza della fede esistenziale, quotidiana: quella di fregarsene dell’irrisione degli stolti se si va a messa la domenica, e di presentarsi con sicurezza all’ambone per leggere la parola di Dio. Il sesso autoproclamatosi «forte» è talmente poco testimone che al rosario per un defunto si sentono solo voci femminili. Gli uomini ci sono, ma le loro bocche restano sigillate con lo scotch in una forma di ottusa arroganza. Come se tiare fuori la voce nella preghiera comunitaria fosse una forma di autosqualificazione.