XIV domenica tempo ordinario Lc 10,1-9

 
 

– Usciamo per offrire la vita –

a cura di Mons. Sergio Salvini –

«Il Signore designò altri». Il tono è solenne: Gesù, in veste messianica, compie un atto di carattere ufficiale e manda davanti a sé i discepoli scelti come propri araldi.
C’è una parola d’ordine da mettere subito in pratica: «Andate!».

Essere discepolo significa uscire, muoversi, persino rischiare pur di annunciare una parola di salvezza. La stabilità, lo stare fermi, il trincerarsi dentro quattro mura è pericoloso. Ci si ammala. È deleterio. Come un veleno che entra in circolo lentamente, senza che uno se ne accorga. E, quando ci si accorge, è troppo tardi. È la paralisi, la falsa sicurezza, l’illusione di sentirsi a posto.

Andare è sperimentare la paura di non essere all’altezza, con tutte le sue forme di insicurezza, compresa la precarietà e la povertà. Questo andare, però, è sempre soggetto alla provvidenza di Dio, a tal punto che si sperimenta sulla propria pelle la sua grazia. Si sperimenta che, nonostante i ripetuti sbagli, andare, con il tempo, rende liberi.

L’unica cosa sulla quale bisogna imparare a contare è la parola di Gesù. La parola che indica un cammino, una strada da percorrere; una vita da vivere. Un orizzonte che, se anche si ha l’illusione di non poter raggiungere definitivamente, nonostante tutto, ogni giorno, è sempre più vicino. Sì! Dio è un viandante, un nomade che cammina costantemente con noi.

Questa pagina di Vangelo ci indica l’urgenza della missione. «Per intraprendere un impegno di questo tipo, i discepoli hanno dovuto rinunciare al loro bisogno di sentirsi sicuri: hanno dovuto abbandonare la certezza, abbandonare l’idea di aver successo, semplicemente perché non avevano idea in che cosa si andavano a cacciare; sapevano soltanto che era ostile. Hanno dovuto rinunciare al potere. Non avevano altro da offrire se non l’annuncio» (H. Nouwen).

Il cristiano è chiamato ad essere completamente irrilevante e a stare in questo mondo con niente altro da offrire che il suo essere vulnerabile. Questo è il modo in cui Gesù è venuto a rivelare l’amore di Dio. Il grande messaggio che dobbiamo portare come seguaci di Gesù è che Dio ci ama: non per ciò che facciamo o raggiungiamo, ma perché ci ha creati e redenti nell’amore e ci ha scelti per proclamare l’amore come vera sorgente di tutta la vita umana.

La missione che Gesù ci affida non è facile: ci chiede di abbandonare i nostri desideri di successo, di risultati, di riconoscimento; di abbandonarci completamente diventando vulnerabili, di non avere altro da offrire se non la nostra verità come seguaci di Gesù. Ed è attraverso questo morire che nasce la nuova vita.

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«Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo… Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita.

Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”
Mc 6,37)» (Evangelii Gaudium, papa Francesco).