XV domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Al capitolo 3 del suo Vangelo Marco narra come Gesù aveva creato la prima comunità apostolica: “… chiamò a sé quelli che voleva… ne costituì Dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,13-15). Notiamo in questa scena un duplice movimento: il Maestro attira a sé e poi invia. Nei capitoli successivi, di cui abbiamo letto molti brani nelle domeniche passate, troviamo descritto il modo in cui i suoi gli sono stati accanto: lo hanno visto insegnare, compiere miracoli, hanno ascoltato le sue parabole e in privato ne hanno approfondito il significato. Sono stati anche testimoni del rifiuto di cui egli fu oggetto. L’esperienza dello stare con Gesù ha favorito in loro la possibilità di interiorizzare i suoi valori, di farli propri, di condividere il suo modo di pensare, di agire, di valutare la realtà. Nel brano odierno Gesù chiama ancora a sé i Dodici ma per inviarli in missione; una missione a cui sono mandati non a causa delle loro doti, capacità, preparazione, ma in quanto il Signore li ha scelti e, attraverso la condivisione della vita, li ha formati perché portino la buona novella del Regno. È dunque la sua chiamata ciò che fonda l’identità dell’apostolo il quale, come scrive Romano Guardini, “è colmo di Cristo, impregnato del suo pensiero. Il Signore è la sostanza della sua vita”. Proprio perché ha assimilato il modo di vivere di Gesù e ha condiviso una profonda intimità con lui, ora l’apostolo può mettersi in cammino, ma non da solo: la presenza di un secondo, di un compagno che percorra la sua stessa strada, è indispensabile per continuare a vivere e per testimoniare quella comunione che aveva caratterizzato la convivenza con Gesù. Quali siano le azioni che contraddistinguono l’agire dei discepoli viene descritto alla fine della pericope: essi predicano la conversione, scacciano i demoni, ungono gli infermi e li guariscono. Si tratta di attività che, unzione a parte, Gesù aveva compiuto prima di loro e in cui, di conseguenza, ci è rivelato come la Chiesa, qui rappresentata dai Dodici, non si limiti a ripetere i gesti del Signore ma ne prolunghi l’azione salvifica. Gesù definisce anche lo stile che deve qualificare questi viaggi missionari; a noi che ci siamo abituati a trasformare ogni oggetto in un bene indispensabile di cui non possiamo fare a meno, le sue indicazioni appaiono più che radicali. Anche ai suoi contemporanei, tuttavia, benché abituati a uno stile di vita più povero e sobrio rispetto al nostro, le sue norme saranno sembrate un po’ estreme e severe. La povertà del discepolo, oggi come allora, è tuttavia indispensabile perché la sequela di Dio è incompatibile con l’amore per le ricchezze in quanto, come dice il vangelo di Matteo, “nessuno può servire due padroni… Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). È però forse presente un motivo più profondo all’interno di tale richiesta: la conversione che gli apostoli predicano non è in funzione di una perfezione personale, ma prepara ad accogliere l’amore di un Padre che ha donato tutto sé stesso inviando il Figlio su questa terra. La sobrietà dei discepoli, che anche noi siamo invitati a incarnare adattandola al nostro stile di vita, esprime allora qualcosa di molto profondo: è il segno della fiducia filiale che il discepolo nutre nei confronti del Padre di cui è certo che non gli farà mancare nulla di necessario, ma anzi gli donerà, come promesso, il centuplo e la vita eterna (cf Mt 19,29).