XVI domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Nelle parabole di oggi Gesù narra del seme che cresce, fruttifica oppure infesta, del lievito che fa fermentare, del granello che si trasforma in un albero maestoso. Si tratta di immagini quotidiane che aiutano a conoscere qualcosa di Gesù, del suo sguardo capace di andare al di là delle apparenze, di non separare la realtà in buona e cattiva, di leggere all’interno della natura qualcosa che la trascende: le dinamiche e i misteri del Regno. Ed è proprio perché questo Regno è misterioso e guidato da criteri superiori rispetto alla nostra capacità di discernimento che Gesù invita a non ergersi a giudici, a non pensare che il campo del mondo si possa dividere in buoni e cattivi, poiché al momento presente non siamo in grado di capire se quanto in esso cresce sia grano o zizzania. Per ora dobbiamo riconoscerci come semplici servi chiamati a collaborare con il seminatore coltivando il suo campo, ma soprattutto acquisendo il suo modo di pensare e di valutare la realtà. Forse anche noi, come gli scribi e farisei, saremmo pronti a lapidare l’adultera e a somiglianza di Simone a condannare la peccatrice o a giudicare severamente pubblicani quali Zaccheo e Matteo, il gabelliere divenuto apostolo ed evangelista. Ciò che per noi è zizzania per Gesù non necessariamente lo è e questo non a causa di lassismo o eccessiva tolleranza, ma perché il suo modo di osservare il campo del mondo è guidato da un ardente desiderio di bene per noi, dalla profonda aspirazione a favorire la nostra trasformazione e la nostra crescita. Solo quando diventeremo mietitori, quando il nostro sguardo si sarà purificato e saremo simili a Lui, giudice buono e misericordioso, allora ci verrà data la capacità di discernere tra il bene e il male.
La parabola permette quindi di intuire qualcosa del mistero di Dio, un Dio paziente che spera nella nostra crescita e crede che, come avvenne per il buon ladrone, anche all’ultimo istante di vita la nostra zizzania potrà trasformarsi in grano.
Le parole di Gesù costituiscono anche una risposta a un grande interrogativo presente nel cuore dell’uomo, ateo o credente: se Dio esiste, perché permette la presenza del male accanto al bene? La nostra tendenza a collocarci istintivamente tra i giusti ci induce a dubitare di Dio, ad attribuirgli una sorta di indifferenza a nostro riguardo quasi fosse disinteressato rispetto al male che subiamo. In realtà il nostro Dio non spezza una canna incrinata e non spegne una fiamma smorta (cf Mt 12,20) pur di permettere a quella briciola di bene presente in noi, grande forse quanto un granello di senape, di diventare un albero capace di accogliere e ospitare chi ha bisogno di trovare riparo presso i suoi rami.
Questo Dio paziente, tuttavia, non è un Dio lassista: l’immagine della mietitura e del giudizio, se non deve richiamare l’idea di un padrone pronto a castigare e punire, ci ricorda che siamo e saremo posti di fronte alle nostre responsabilità e che, se Dio non spegne la fiammella di bene presente in noi, è tuttavia compito nostro alimentarla eliminando tutto quanto potrebbe estinguerne il fuoco e la luce.