XVI domenica tempo ordinario Lc 10,38-42
– a cura di Mons. Sergio Salvini –
La contemplazione è gioia –
L’essere come Marta «distolti per i molti servizi» non ci esime dall’essere come Maria «seduti ai piedi del Signore ascoltando la sua parola». È di Gesù la lode, sia per Marta che per Maria. La contemplazione di Dio è il fine di tutte le nostre azioni, è la gioia che non ci sarà tolta. Infatti, la parte destinata al servizio delle necessità sarà eliminata quando i bisogni cesseranno e «Dio sarà tutto in tutti».
Il Vangelo non riporta ciò che il Signore stesse dicendo a Maria e quale fosse la parte migliore che lei si era scelta. Il contesto ci fa pensare che Gesù fosse particolarmente vicino a coloro che si pongono in un atteggiamento di fede e di dialogo con Lui e non si fanno distrarre da altri pensieri. Questo Vangelo ci spinge ad andare in profondità, a entrare nei sentimenti di Gesù.
La nostra società, il nostro “modus vivendi” è frenetico e accade facilmente di essere distratti da tante cose. Capita, purtroppo, a tutti che durante la preghiera la mente vaghi altrove…
Allora, quelli che si distraggono sono forse esclusi dalla salvezza?
Quando il cuore è inginocchiato, proteso verso il Signore, anche se la mente si lascia distrarre (e occupare) da altri pensieri, di riflesso ogni sofferenza, ogni affetto e ogni desiderio non vengono esclusi o giudicati, ma con Lui “entrano” in comunione. La presenza di Cristo in noi è ciò che fa la differenza. A Gesù non dev’essere piaciuto il fatto che Marta, pur animata da buone intenzioni, gli abbia chiesto di rimproverare la sorella, mostrando così un atteggiamento di superiorità. Nel momento in cui il vangelo fotografa la scena, Gesù è presente nella casa, ma non nel cuore di Marta, «distolta per i molti servizi».
La parte migliore non è solo un atto di fede, ma l’esercizio continuativo della carità. Il mondo non ha bisogno di essere ascoltato soltanto con le orecchie, ma con un cuore abitato dall’amore di Dio. Un cuore che si fa casa accogliente per chiunque vi entri. Lo sappiamo bene, è facile vedere e passare oltre, il difficile è fermarsi ad ascoltare il lamento di chi soffre e farsene carico; per questo Gesù viene e bussa ogni giorno alla porta del nostro cuore: per entrare e diffondere in ogni angolo disponibile il profumo della sua grazia.
Solo così possiamo riconoscerlo nei lineamenti e nelle lacrime altrui. L’essenziale, ciò di cui nessuno può fare a meno è il Regno, cioè fondamentalmente un dono di amore, dato dal Signore senza risparmio: Lui è anzitutto l’Ospite. Egli desidera: essere accolto e ascoltato, non onorato; o meglio, essere onorato e servito con l’ascolto e la meditazione della sua Parola! Proprio come fa Maria, che Luca ritrae nell’atteggiamento tipico del discepolo, il quale per definizione è anzitutto “colui che ascolta”, nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Sarà poi la Parola stessa a fare il suo corso (o «la sua corsa», come afferma S. Paolo) nel cuore di chi l’ha accolta, indicando tempi e modi del “servizio”, quello vero, sia verso il Signore che verso il prossimo.
La riprova di tutto ciò è esattamente l’assenza di affanno (quello di Marta), perché il discepolo che ascolta riposa nella certezza che Dio è all’opera e, se veste in modo splendido l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno (cfr. Luca 12, 24), quanto più si cura dell’uomo, sua creatura prediletta!