XVII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La scorsa domenica il Vangelo ci aveva presentato un Gesù attento alle esigenze dei discepoli a cui, vedendo la loro stanchezza causata delle molteplici richieste della folla, aveva rivolto l’invito di allontanarsi in un luogo tranquillo a riposare. Oggi l’evangelista Giovanni, che per alcune settimane sostituirà Marco, ci mostra uno sguardo altrettanto interessato e profondo da parte di Gesù nei confronti di coloro che lo seguono dopo aver assistito ai grandi segni che egli opera sugli infermi. Questa volta la percezione di un bisogno non è seguita da un invito, come nel Vangelo della domenica precedente, ma da una domanda rivolta a Filippo riguardante l’acquisto del pane per sfamare la folla. L’evangelista sottolinea che l’interrogativo è stato posto per mettere alla prova l’apostolo: non una prova paragonabile a quelle degli insegnanti per valutare le capacità di un allievo ma, come sempre avviene con il Maestro, per suscitare attenzione, interrogativi e aprire il cuore del discepolo al mistero della sua persona. Nella questione presentata da Gesù è però già presente un termine atto a suggerire la risposta: la parola “comperare” può infatti evocare nella mente di Filippo un brano del profeta Isaia capace di orientare, sia lui sia il lettore, verso la comprensione di quanto il Signore sta per compiere: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate senza denaro, senza pagare, vino e latte” (Is 55,1). Si tratta di un’offerta gratuita rivolta a degli assetati, ma non è questa, forse, la condizione di coloro che che seguono Gesù percependo in lui la possibilità di veder esauditi dei bisogni di cui non sono nemmeno consapevoli? Diversamente dai sinottici, dove i discepoli suggeriscono al Maestro di congedare la folla perché “il luogo è deserto ed è ormai tardi” (Mt 14,15), nel brano giovanneo non emerge la necessità di sfamare tutta quella gente. Evidentemente lo sguardo del Signore ha percepito qualcosa di ben più profondo della fame: un bisogno di Sapienza e di Parola, come suggerito dal testo del profeta Isaia, che verrà pienamente saziato nel contatto con la sua persona. Di fronte alla percezione di impotenza da parte di Filippo, Andrea fa una proposta che egli stesso considera inconsistente: il poco posseduto dal ragazzo non è nulla rispetto alle esigenze dei presenti. Viene in mente un’altra scena in cui è espressa la stessa verità: quella degli apostoli che, dopo la risurrezione di Gesù, vanno a pescare senza prendere nulla (Gv 21,3). Entrambe mettono in risalto l’impossibilità da parte dell’uomo di soddisfare la sua fame e la sua sete. Siamo in balia di forze oscure, abitati da bisogni profondi e intensi a cui non siamo in grado di offrire una risposta. Una situazione tragica, ma in entrambe le scene vediamo il Signore che interviene per sopperire alle nostre mancanze, saziare le fami a cui, come avviene in questo brano, noi stessi avremmo potuto provvedere o addirittura offrire quel sovrappiù non necessario come accadde per il vino a Cana. In tutte queste situazioni Gesù si presenta come colui che dona, ma sempre chiedendo anche la nostra collaborazione: egli non fa calare dall’alto la sua offerta, ma è dal nostro povero nulla – i cinque pani e due pesci di uno sconosciuto ragazzo – che egli fa scaturire la vita. Tuttavia, non è la nostra fame fisica ciò che Gesù vuole soddisfare; questo è stato chiaro fin dal momento delle tentazioni, quando si è rifiutato di trasformare le pietre in pane. Egli vuole invece appagare la nostra sete di vita ed è proprio per questo che si nasconde dalla folla venuta per farlo re; il figlio di Dio, infatti, non si è incarnato per sfamarci o guarirci, ma per qualcosa di immensamente più importante: per darci la vita e darcela in abbondanza (cf Gv 10,10).