XVII domenica tempo ordinario Mt 13, 44-52

 
 

– Trovare il regno dei cieli genera gioia piena –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Le parabole di questa domenica sono già state visitate per forza di cose domenica scorsa. Sono troppo inglobate in una matassa parabolica, per poterle isolare dalle altre cui si collegano. Non ci restano stavolta che alcune rifiniture.
È strano il comportamento di chi ha scoperto il tesoro nel campo. Sembra per caso. In che modo? Non dobbiamo farci troppe domande sulle parabole, anche se possono essere legittime. Le parabole si devono leggere e meditare nella loro globalità. Un’altra domanda stupidina potrebbe essere la seguente: perché ha ri-nascosto il tesoro?
Elementi centrali mi sembrano essere due: «pieno di gioia» e «vende tutti i suoi averi». Il primo messaggio a scaturire è che la scoperta del regno dei cieli è fattore di gioia piena, superiore a ogni altra. Mi viene in mente la gioia straripante di quel dimenticato poeta che è Clemente Rebora: «Quando si nutre il cuore / un nulla è riso pieno» (Le poesie XIII). Il regno dei cieli trovato è nutrimento al cuore, facendolo brillare di un serenissimo riso interiore. E poi, per questo tesoro rinvenuto, è il caso di rinunciare a tutto il resto: non perché necessariamente inutile, ma perché incapace di procurare letizia inestinguibile come quella indotta dal regno dei cieli. Già si scorge in filigrana la tristezza del famoso giovane ricco. Se ne andò triste perché privo della forza del distacco dal suo precedente, peraltro inappuntabile, regime di vita (Mt 19,21-22). Il messaggio è sostanzialmente replicato nella paraboletta successiva del mercante di pietre preziose.
Fatto sorprendente è come nella parabola della rete da pesca Gesù, messosi ormai nella prospettiva della fine del mondo, calchi la mano più sulla fine dei cattivi che dei buoni. Di questi si dice solo che saranno separati dai cattivi, dei quali si afferma che «saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti». Località dunque poco refrigerante e per giunta “allietata” da orripilante melodia. Non si poteva ideare una messa in guardia più efficace. Gesù dunque, in questa circostanza, dà più risalto all’inferno che al paradiso.
La lezione in parabole termina e il Signore si accerta che sia entrata nel comprendonio dei destinatari: «Avete compreso tutte queste cose?». La risposta è sì. Il tutto viene siglato con una conclusione un po’ criptica: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Che vuol dire? Credo che si debba andare a tentoni. Pare che ci sia un riciclaggio degli scribi che nei confronti di Gesù sono stati degli emeriti rompiscatole! Ma non è escluso che possano essi pure diventare discepoli del regno dei cieli. Almeno uno che abbia accettato questo discepolato lo troviamo in Mc 12,34. Un padrone di casa conosce bene le cose che ci sono dentro ed è in grado di combinarle insieme, miscelando con buon gusto il nuovo e l’antico. In quest’ultimo aggettivo ci sono raffinatezza e nobiltà. Nel cassonetto si scaraventa una ciabatta vecchia non una sedia antica. Forse Gesù vuol dire che, se gli scribi vogliono ammodernare il loro insegnamento, utilizzino pure il genere antico della parabola, già noto e praticato nell’Antico Testamento, ma cerchino di applicarlo alle grandi novità del regno dei cieli. Oppure cerchino di rinnovare l’obsoleta dottrina veterotestamentaria alla luce delle impareggiabili novità del vangelo. Ne erano consapevoli le guardie del sinedrio che dovettero esplodere nell’entusiasmo: «Mai un uomo ha parlato così!» (Gv 7,46). E questa mescolanza di antico e nuovo ha suggerito il celebre brocardo agostiniano novum in veteri latet et vetus in novo patet = (il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e l’Antico si manifesta nel Nuovo).