XXII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il Vangelo di oggi è l’immediato proseguimento di quello di domenica scorsa. Lì era stata messa in risalto l’assoluta importanza di diventare consapevoli dell’identità di Colui che il discepolo segue; per tale motivo, infatti, Gesù aveva posto ai suoi la fondamentale domanda: “Voi, chi dite che io sia?”. Un interrogativo che permette di entrare più direttamente nel mistero della sua persona, ma lascia nello stesso tempo molto spazio per la nostra fantasia e immaginazione. Intuire, come fece Pietro in quel momento, che Gesù è “il Figlio del Dio vivente” non basta, ma necessita di un’ulteriore spiegazione. Il testo biblico che precede il brano di oggi, infatti, precisa: “da allora”, vale a dire dal momento in cui è stata definita la sua identità, Gesù inizia a rivelare ciò che questo comporta. Ed ecco che per descrivere meglio chi è veramente, Gesù manifesta ai suoi che cosa avverrà di lui: soffrirà, sarà ucciso e risorgerà. Tali parole non costituiscono semplicemente una descrizione degli avvenimenti futuri, ma sono un’implicita presentazione della sua vera identità. Essere “Figlio di Dio” non significa tutelarsi e proteggersi, ma rimanere aperti a un misterioso piano di salvezza, che può comportare perfino la sofferenza e la morte; non vuol dire nemmeno pensarsi secondo criteri di superiorità, autoaffermazione, successo, privilegio rispetto agli altri. Si scontrano qui due opposti approcci alla realtà che Gesù, reagendo alle parole di Pietro, sinteticamente descrive come: “pensare secondo Dio” o “secondo gli uomini”. Gli uomini, qui rappresentati dall’apostolo, nutrono idee di grandezza, vogliono primeggiare sugli altri, eliminare ogni forma di debolezza personale; ed è proprio su queste aspettative che si fonda la loro identità. Per Gesù non è così; la sua identità si basa su altro: sull’amore, sul dono totale di sé che esige la coerenza, la fedeltà ai propri ideali. Per tale motivo egli “doveva andare a Gerusalemme”, subire la sofferenza e la morte: non per essere sottoposto alla volontà di un dio assetato di sangue, ma per rimanere coerente con se stesso, con il suo essere Figlio di un Dio che è amore e, di conseguenza, non pensa prima di tutto a salvare se stesso ma a essere fedele a ciò che ha vissuto e predicato. Ecco perché Gesù prende le distanze da Pietro sia con le parole sia con gli atteggiamenti: egli non vuole lasciarsi attirare da parole che hanno il potere di sedurre il cuore dell’uomo, come lo furono quelle di Satana rivolte a Eva o a Gesù stesso nel momento delle tentazioni nel deserto. Insieme a Pietro ognuno di noi deve quindi imparare a seguirlo aderendo ad altri criteri, a quelli che coincidono con “i pensieri di Dio”. Sono criteri che non hanno come fine l’autoprotezione e l’affermazione di sé, ma la disponibilità a “perdere la vita”, non facendo di noi stessi il centro della nostra esistenza ma cercando di vivere nel dono di sé a Dio e agli altri.