XXIX domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Nelle scorse settimane abbiamo ascoltato una serie di parabole indirizzate ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, i quali comprendono bene il messaggio in esse contenuto: proprio a loro, infatti, è rivolta l’accusa di non aver fatto fruttificare il regno e di preferire i propri piccoli interessi personali rispetto alla partecipazione al banchetto preparato da Dio. Nel brano di oggi viene presentata la loro reazione; le parole di Gesù, infatti, non sono state recepite come un invito alla conversione bensì come una minaccia, uno smascheramento della loro falsità. Eccoli allora preparare la controffensiva, come già avevano fatto in precedenza quando lo avevano interrogato in merito a chi gli avesse conferito l’autorità con cui parlava e agiva (cf. Mt 21,23). La domanda tendenziosa che i discepoli dei farisei e gli erodiani rivolgono a Gesù è preceduta da un elogio che ha il sapore dell’adulazione infida e insincera; il Maestro che, come scrive l’evangelista Giovanni, conosce “quello che c’è nell’uomo” (Gv 2,25) li smaschera immediatamente definendoli “ipocriti” e facendo emergere l’intenzione nascosta aldilà delle loro parole lusinghiere: essi non sono interessati a ricevere una risposta, ma vogliono semplicemente metterlo alla prova tendendogli un tranello. Paradossalmente, però, queste parole subdole si trasformano in dono per il credente. Esse ci forniscono un prezioso ritratto di Gesù in cui vengono presentati alcuni aspetti affascinanti della sua personalità. I farisei, infatti, sono troppo intelligenti per attribuirgli delle caratteristiche che non gli appartengono; le loro parole devono quindi essere prese alla lettera, quasi si trattasse di un’inconsapevole testimonianza. Essi lo definiscono Maestro, riconoscendone la sapienza e il diritto di insegnare, e uomo veritiero per poi metterne in risalto il coraggio e l’integrità: egli è fedele a Dio e ai suoi valori e non si lascia condizionare da nulla. Ecco dal vivo una prova attendibile benché non voluta della grandezza interiore di Gesù. Dopo aver introdotto il loro discorso, preceduto da una premessa avente lo scopo di adulare il Signore, i suoi interlocutori gli pongono una domanda-trappola dove sia la risposta positiva sia quella negativa costituiscono un rischio per Gesù. Con l’atteggiamento regale che lo caratterizza egli risponde all’interrogativo senza cadere nel tranello. L’opinione del Maestro, tuttavia, non costituisce un semplice escamotage finalizzato a non lasciarsi incastrare; le sue parole contengono infatti una profonda verità a cui bisogna prestare attenzione. Il quesito posto dagli avversari era formulato come un dilemma in cui il loro interlocutore era invitato a scegliere tra due ipotesi; si trattava di decidere se optare per il potere politico o per quello di Dio, due poteri posti allo stesso livello, sullo stesso piano. Per Gesù, tuttavia, questa parità di importanza è impensabile: se da una parte egli attribuisce il giusto valore al potere politico “rendete a Cesare quello che è di Cesare” dall’altra non lo considera un assoluto; solo a Dio, infatti, dobbiamo dare quello che è di Dio, vale a dire tutto: cuore, anima e mente, come dirà poco dopo Gesù al dottore della legge che, ancora una volta, lo interroga “per metterlo alla prova” (Mt 23,35).