XXXI domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Il brano di oggi fa parte di cinque controversie che si svolgono nel recinto del tempio. Questa volta a interpellare Gesù è uno scriba che, almeno nel Vangelo di Marco, si rivolge a lui spinto da un’intenzione sincera. La sua domanda esprime il desiderio di trovare un criterio unificatore nell’intricata serie di precetti e di divieti a cui il pio israelita deve obbedire. Gesù offre una risposta che permette di arrivare a una sintesi, ma ancor prima cita lo Shemà, l’“Ascolta Israele”, attraverso il quale invita ad aprire mente e cuore alla premessa indispensabile per tutto ciò che verrà affermato in seguito: è la fede in Dio, il riconoscimento della sua unicità, quanto permette di vivere e mettere in pratica i comandamenti, è dalla relazione con Lui che potrà prendere forma tutto il resto. Subito dopo Gesù prosegue offrendo una soluzione estremamente originale all’interrogativo che gli è stato posto. Egli cita un primo e un secondo comandamento, mettendo così in risalto una gerarchia di valori dove l’amore per Dio sta alla base di tutto e dà senso a ciò che viene in seguito; nello stesso tempo affermando che “non c’è altro comandamento – al singolare – più grande di questi – al plurale –” fa comprendere come questi due amori non si possono opporre e separare. Quello per i fratelli, infatti, non si esaurisce in una pur lodevole filantropia; esso deve attingere all’amore trinitario, lasciarsi guidare dalla forza dello Spirito che insegna a dimenticare sé stessi, a perdonare i nemici, a non escludere nessuno. Nello stesso tempo l’amore per Dio si riduce a pura illusione, a vana parola se non è comprovato dai fatti, come ricorda l’evangelista Giovanni quando scrive: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,19). Gesù, inoltre, non si limita a elencare i due amori, ma indica anche il modo in cui metterli in pratica. In primo luogo, Dio deve essere amato “con tutto”: un termine ripetuto per ben quattro volte a indicare la radicalità, l’intensità con cui siamo invitati a vivere questa relazione. Il verbo al futuro evidenzia come non si tratti di una realizzazione immediata, ma di un percorso; l’impegno, tuttavia, deve essere senza riserve, come dimostrano anche i termini usati – cuore, anima, mente, forza – che si riferiscono alla totalità della persona considerata in tutte le sue componenti. Se il primo comandamento può apparirci molto impegnativo il secondo, benché formulato in modo più sobrio, non lo è di meno. Amare l’altro come se stessi, infatti, comporta un duro impegno per raggiungere un buon equilibrio nella lotta contro le spinte egocentriche, dove l’attenzione verso sé stessi è eccessiva, esasperata, e contro la tendenza all’autocritica, alla disistima, che escludono invece ogni forma di ricerca del bene per la propria persona. Lo scriba intervenuto all’inizio con un’importante domanda si conferma così né fazioso né prevenuto. Egli non solo riconosce la bontà della risposta di Gesù ma aggiunge un dettaglio che, sulla scia della Parola di Dio, trova entrambi d’accordo: l’amore “vale più di tutti gli olocausti e sacrifici”. Gesù riconosce il valore delle sue parole e affermando che egli non è “lontano dal Regno di Dio” apre davanti a lui la possibilità di un nuovo cammino, che consiste nel riconoscere nella sua persona non solo il Maestro ma anche il Messia e il figlio di Dio, colui che ha vissuto in pienezza ogni forma di amore.